Il silenzio dei miei studenti che non sanno più ragionare

 di MARCO LODOLI (per la biografia clicca qui)


            ("La Repubblica" del 4 ottobre 2002)

 

L'ottimismo, anche se temperato dal dubbio e dal buon senso, è un dovere di ogni insegnante, che deve comunicare ai suoi alunni sempre e comunque un po' di fiducia nella vita. Dunque anche io cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, di incoraggiare ogni volontà di miglioramento e di rimarcare gli aspetti più belli dell'esistenza.

Eppure da un po' di tempo un pensiero atroce si è installato nella mia mente, mi tormenta, mi perseguita, e ormai sono arrivato al punto di doverlo assolutamente comunicare a chi per età, lavoro, interessi, è lontano dal mondo dei ragazzi. La cosa è questa: a me sembra che sia in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il futuro.

Non dovete prendere questa mia affermazione in modo metaforico, e non dovete neanche pensare a una delle solite tirate contro i giovani che non hanno voglia di fare niente, che disprezzano i valori alti e la cultura. Non si tratta di denunciare un certo naturale menefreghismo e nemmeno l'inclinazione ossessiva al consumo che dimostarno i gruppi giovanili. La mia non è la sparata moralistica di chi rimpiange i bei tempi in cui i ragazzi leggevano tanti libri e facevano tanta politica. Io sto notando qualcosa di molto più grave, e cioè che gli adolescenti non capiscono più niente.

I processi intellettivi più semplici, un'elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il semplice resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio. Le qualità sentimentali sono rimaste intatte, i miei alunni amano, odiano, fanno amicizia, si emozionano, si indignano, arrossiscono, ridono, piangono, tutto come sempre - male capacità logiche, mentali, paiono irreparabilmente compromesse.

In ogni classe ormai ci sono almeno due o tre studenti che hanno bisogno dell'insegnante di sostegno: voi penserete che si tratti di ragazzi affetti da qualche handicap fisico o da qualche grave disturbo mentale, ma spesso non è così. All'inizio è persino difficile distinguerli dagli altri, perché nella classe paiono tutti ugualmente storditi, come si i cervelli avessero subito qualche lieve ammaccatura. Questi quindicenni sono sani e pressoché normali, e a me sembrano solamente l'avanguardia di un mondo diretto verso le tenebre. Semplicemente non capiscono niente, non riescono a connettere i dati più elementari, a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi. Ripeto: sono appena più inebetiti degli altri, come se li precedessero di qualche metro appena nel cammino verso il nulla.

Loro vengono considerati ragazzi in difficoltà, ma i compagni di banco, quelli della fila davanti o dietro, stanno quasi nelle stesse condizioni. Gli insegnanti si fanno in quattro, cercano di rendere le lezioni più chiare, più dirette, si disperano e si avviliscono, ma non c'è niente da fare, le parole si perdono nel vento, sono semi che rimbalzano su una terra asciuttissima che non fiorisce mai.

La cosa più triste è che questo deficit progressivo dell'intelligenza si nota soprattutto nei ragazzi delle classi sociali più povere. I giovani borghesi hanno in casa libri, dischi e computer, hanno genitori ambiziosi e fratelli in carriera, hanno cento stimoli in più per andare avanti decifrando in qualche modo la realtà. I giovani delle borgate sono avvolti da un'ottusità che fa male. Veramente non capiscono nemmeno chi sono e cosa stanno facendo, spesso non sanno più incollare una parola all'altra, un pensierino a un altro pensierino. Sono perduti a una demenza progressiva e spaventosa. Crescono rintronati dalla televisione, dalla pubblicità e da miti bugiardi, da una promessa di felicità a buon mercato, da mille sirene che cantano a squarciagola, e accanto a loro non c'è altro che riesca a farsi spazio. E così, poco alla volta, perdono ogni facoltà intellettiva, fino a diventare totalmente ottusi.

Sia chiaro: il problema non è che non sappiano nulla di una guerra imminente o dell'Europa unita o di chi ha vinto l'ultimo festival del cinema a Venezia; il problema è che non riescono a ragionare su nessun argomento, perché qualcosa nella testa si è sfasciato. Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, non grido al lupo al lupo solo per creare apprensione. Sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa. Il nostro mondo è in pericolo non solo per l'inquinamento, la violenza, l'ingiustizia, il prosciugamento delle risorse prime. La nostra civiltà rischia grosso soprattutto perché la confusione sta producendo esseri disadattati, creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni di giovani infelici che strada facendo - la strada che noi adulti abbiamo disegnato - hanno perduto il pensiero. Dopo essersi spente nelle campagne, le lucciole ora si stanno spegnendo anche nelle teste.